Prima che Nicola nascesse, sua madre non abitava a Rio.
Ci fu così un tempo in cui
erano del tutto inutili ogni alito di vento o nuvola passeggianti qui sopra,
un'epoca di anni da terraferma nei quali a nessuno importava dell'esistenza o
meno di questo bar, e figuriamoci poi se Anna avesse solo potuto immaginare di
sposarsi e tornar di casa su un'isola, lei che aveva così paura dell'acqua, e
poi anche di avere un figlio con un nome solo, certo, ma con così tanti ed
ardui destini da restarne stupefatti persino in quelle solide e perduranti
stagioni della sua vita a Campiglia Marittima, dove tutto scorreva sempre come
al solito ma proprio per questo non era mai uguale.
Anna abitava
nelle nuove case costruite appena fuori dalle mura medievali del paese. Fuori sì,
ma sempre in cima alla collina da dove a destra si potevano immaginare il mare e
le brevi pianure di canne ed a sinistra la ritmica vacuità bianca e sbuffante
dei soffioni boraciferi con, poco distante andando verso nord, le miniere di
sale e le colline d'argilla dove si diceva nascessero bene i cocomeri anche se
nessuno li aveva mai visti. Il condominio dove viveva era composto da quattro
appartamenti ed era dipinto con una tinta rossa che però col tempo andò
scolorendo fino ad assumere, a seconda dell'esposizione al sole, varie tonalità
di rosa che era un colore peraltro la cui moda ebbe il merito di iniziare
proprio nel momento giusto e durare parecchi anni di seguito. In un appartamento
vivevano lei e la sua famiglia, in un altro uno zio solitario, fratello della
mamma, reduce da infinite battaglie combattute sia per ideali politici che per
spirito di girovago, ed infine, ai piani superiori, due famiglie di commercianti
del centro che brillavano soprattutto per la loro assoluta mancanza di interesse
per i lettori di qualsiasi romanzo, figuriamoci poi per una storia raccontata in
un bar d'isola.
Ma l'infanzia
vera e propria Anna non l'aveva trascorsa lì, anche se i ricordi più belli
risalivano al condominio rosa. Vi erano tornati ad abitare solo quando lo zio,
forse invecchiato, decise di abbandonare il suo perenne girovagare e così ci fu
bisogno di qualche stanza in più ed anche dell'eterna pazienza di sua sorella
Bianca che, non avendo avuto il modo di esibirla quando lui era lontano, ebbe
ampiamente l'occasione di rifarsi in quegli anni bizzarri che furono il suo
ritorno, certo per sempre e sennò perché mai si dovrebbe ritornare, e nei
quali lui riuscì ad irretire metà paese e a far quasi impazzire la restante
parte. Vissero insomma, finché la bambina non ebbe all'incirca sette anni, in
una casa in campagna come pigionali, ed era certo una vita più dura, molto
meglio e più sicuri gli stipendi che il padre iniziò a percepire dopo come
operaio edile e la madre attraverso un lavoro a domicilio per una ditta di
confezioni che gli portavano persino il lavoro a casa da Piombino, anche se a
lei mancavano un po' gli enormi ed eccessivi spazi delle mietiture assordanti e
dei fiori sui greti di torrenti dall'acqua bassa, niente a che vedere col
piccolo giardino che ebbero da allora in poi anche se, in fondo, a lei bastava
davvero lo zio.
Ermete non si
rassegnò mai all'idea di essere tornato per sempre. Non che avesse dei
rimpianti, certo che no, l'ho deciso io, ma volle in ogni modo rifiutare
l'evidenza che la vita a Campiglia fosse nella sostanza come l'aveva lasciata
quando a circa vent'anni era partito per la prima volta aggregandosi alle
brigate internazionali per far la guerra civile in Spagna al fianco degli
anarchici. Non riusciva proprio a sopportare che quasi nessuna eco dell'immenso
spazio esterno fosse mai arrivata fin lì o, se mai lo avesse fatto, non fosse
riuscita a trovare il terreno adatto per germogliare in un qualche ideale che
non fosse solo lo stanco rituale dei partiti e poi la sera tutti a cena insieme
e dopo un bel ramino. No, non riusciva a sopportarlo, ma aveva soltanto due
possibilità, od accettare controvoglia l'esistente o frantumarlo. Naturalmente
optò per la seconda ipotesi.
Anna ricordò
per sempre con lucidità il giorno che lo zio decise di rimanere e che la
mattina dopo andò a cercare una casa in affitto per tutti loro perché Mario,
glielo disse immediatamente, va bene che resti ed in fondo è bene così, sei
sempre il fratello di mia moglie, ma vivere insieme no, quello no perdio. Lei lo
zio, fino ad allora, lo aveva visto davvero poco, giusto in due o tre occasioni
negli anni appena seguenti la guerra, mentre lui era impegnato in un non ben
precisato progetto insurrezionale e si era messo a girare per l'Italia dopo aver
trascorso tutti gli anni dei combattimenti nel sud della Francia. Non sapeva
neanche bene come spiegarselo, nella sua fantasia di bambina, quell'uomo
enormemente vago nei gesti e che praticamente passava da casa solo per salutare
con Bianca che piangeva tutte le volte che ripartiva.
La bambina non
capì subito l'importanza di quella sera, l'enorme influenza che quella
decisione avrebbe esercitato sul suo carattere, sulla sua vita, su quella di suo
figlio, sulle nostre in fondo, non premonì lo sconvolgimento che dapprima lento
ma poi inarrestabile avrebbe infranto ognuna delle piccole ma tenaci regole
dell'esistente. Già, perché nel mondo ci son due tipi di uomini, quelli che
vivono nelle regole e quelli che adorano strafare, e se è vero che di solito
sono i primi ad essere seguiti perché offrono la possibilità di una strada più
facile, è altrettanto innegabile che chiunque anche per gioco, pure da bambina,
incontri la stravagante armonia degli altri, non riesce più a dimenticarla.
Anna insomma per allora non capì, avrebbe avuto poi tutto il tempo per rifarsi,
eppure non era mai stata così felice in vita sua come di fronte a quella
notizia.
Dal canto suo
lo zio, all'inizio, non fece niente per dimostrarsi eccezionale, la portava a
spasso, giocava con lei in giardino, andavano al cinema la domenica pomeriggio,
la prima estate la trascorsero quasi sempre al mare partendo col pulman la
mattina e ritornando la sera, solo alcune volte si recarono insieme la notte in
qualche bar o alla casa del popolo per osservare i giocatori di biliardo. Non
successe insomma quasi niente, anche se lei era enormemente felice e
perfettamente abbronzata, lo zio stava semplicemente studiando la situazione.
Scelse di agire non appena gli furono chiare le linee di
tendenza che sonnecchiavano negli animi degli abitanti del paese. Erano animi
semplici, disposti alla comprensione, facilmente suggestionabili, non sarebbe
stato impossibile riuscire a plagiarli. Ma per farlo gli occorreva anzitutto una
posizione particolare, che gli permettesse di agire con il massimo clamore
possibile. Ermete decise così di impegnarsi in politica.
Visti i suoi
precedenti, le sue rinomate imprese di combattente, i suoi viaggi come
conoscitore del mondo, più alcune piccole bugìe inventate lì per lì per dar
corpo alla figura dell'eroe, riuscì in un batter d'occhio a convincere l'intera
sezione locale del Partito Comunista. Al congresso di novembre era già stato
eletto segretario.
Fu quello il suo trampolino di lancio, la carica che
conservò per tutta la vita, finché non lo riportarono su a braccia dal burrone
della sua ultima avventura, e seguirono funerali con in testa bandiere rosse
legate a lutto anche se, in fondo, quasi tutti piangevano al suo passaggio, solo
alcuni si sentirono un po' liberati, ma era solo l'aria dell'autunno che forse
fa sentire più leggeri, e da lì non passò molto che Anna incontrò il padre
di Nicola con la sua timidezza da minatore e partì con lui perché tanto a
Campiglia Marittima non aveva più niente da fare, ma questi sono altri
accadimenti, altre storie.
La sua prima
mossa fu geniale, e tale sarebbe stata considerata anche dalle generazioni
future che ebbero modo di contemplarne l'immensa rovina.
Decise di
organizzare lui la festa dell'Unità del successivo anno e spostandola in agosto
perché ci fossero anche i turisti ad ammirare la splendida follìa che ottenebrò
il suo pensiero per tutto l'inverno e parte della primavera.
Ermete aveva
subito intuito che, in un paese di collina come quello, dove la stragrande
maggioranza dei votanti era di sinistra, la festa dell'unità fosse qualcosa di
più di una manifestazione di partito. Dalla sua giocava anche il fatto che i
moderati, essendo obiettivamente pochi, non avevano la possibilità fisica di
organizzare manifestazioni alternative. Riuscì così ad avere al suo fianco
tutta la popolazione, se si eccettuano solo alcuni nostalgici del passato regime
che però, a dir la verità, seguirono di buon occhio tutti i preparativi perché
sapevano che comunque sarebbe stato un qualcosa che li avrebbe distratti da
quell'infinito odore di grano tagliato che era l'estate.
Aveva quindi
tutti dalla sua parte, anche se nessuno all'inizio conosceva con precisione il
progetto definitivo, e addirittura continuò ad averli anche dopo, al principio
per l'assoluta emozione della novità ed in seguito perché ognuno non voleva
riconoscere di essersi sbagliato. Sarà un effetto un po' esagerato ma
certamente piacevole. In fondo sono elementi come questi che riescono a
caratterizzare un piccolo paese come il nostro.
I preparativi
collaterali non dimostrarono alcun eccesso, nessuna pericolosità. I soliti
stand di libri e di chincaglierie, la rassegna di cinema con i film per bambini
scelti personalmente da Anna che in tutto quel bailamme di ordini, contrordini,
telefonate del Sindaco perché di carattere era un po' ansioso, scatole zeppe di
fogli archiviati per una raccolta differenziata ancora al di là dal venire, si
sentiva proprio perfettamente a suo agio. La bambina, superata una prima e
comprensibile ostilità manifestata dalla madre, aveva addirittura stabilito una
specie di quartier generale nella sede del partito, aveva un piccolo tavolo dove
fare i compiti, riceveva le amiche in una stanza attigua all'ufficio dello zio.
Ma non mancò
molto che il colpo di genio iniziò a svelarsi. Dapprima attraverso indizi
laterali, apparentemente incomprensibili, come l'ampiezza dell'area da
destinarsi alla festa da tutti considerata un po' eccessiva ma che Ermete
continuava a ripetere essere strettamente indispensabile, oppure il numero delle
telefonate e dei dirigenti provenienti da Roma e con i quali solo lui parlava.
Lo zio, Anna
lo sapeva, aveva molti amicì nella direzione nazionale del partito. Gliene
parlava spesso, molti di loro li aveva incontrati durante l'esilio in Francia ma
alcuni addirittura erano stati suoi compagni nelle brigate della guerra civile
spagnola. Questo in sé non vorrebbe dire niente, non c'è infatti amico che
tenga di fronte alla follia di un progetto come quello, solo che Ermete era
molto persuasivo, essendo perfettamente convinto della logica delle sue
intuizioni non di rado riusciva a convincerne anche gli altri. Insomma, c'era
riuscito.
Il mistero
iniziò a svelarsi quando arrivarono i primi camion carichi di attrezzature
apparentemente incomprensibili. Non che all'inizio fossero di difficile
decifrazione, si trattava di tubi per strutture smontabili, pannelli, teloni,
materiale per impianti elettrici e cos'altro. Tutta roba perfettamente
spiegabile in sé, solo che erano la quantità e le dimensioni di alcuni pezzi
ad essere incomprensibili.
Quando anche
l'ultimo carico fu portato a terra e tutto il materiale iniziava a diventare una
piccola montagnola, Ermete svelò il suo progetto. Era una sera di fine aprile e
lui convocò un'apposita riunione nella piazza del paese. Non ci furono
distinzioni politiche, tutti parteciparono.
L'opera in sé era semplicissima, constava di una struttura in ferro a
due piani, di forma semisferica, con al suo interno una serie di divisori che
sarebbero serviti a creare sale per cinema, spettacoli e qualsiasi altra attività
che finalmente avrebbe pottuto uscire dalle menti dei più geniali concittadini
ed avere uno spazio appositamente deputato per essere realizzata. Erano solo le
dimensioni che non quadravano. Dentro a quello sproposito infatti sarebbero
potuti entrare diversi aerei da guerra e persino divertirsi a far manovra.
Tutti
restarono allibiti.
Ma poi, vuoi
perché un po' davvero si fecero convincere, vuoi perché oramai si erani
impegnati ed a nessuno andava di fare la figura del voltagabbana, accettarono di
realizzare il progetto e bisognava persino cominciar subito perché l'estate era
ormai alle porte.
Durante il periodo della costruzione, l'ufficio di Anna venne
trasferito in uno sgabuzzino prefabbricato che la notte serviva come sede della
guardia giurata appositamente assunta per evitare sottrazioni indebite di
prezioso materiale. Le squadre fisse di lavoro erano tre, i pensionati più
anziani vennero invece sistemati allo smistamento del materiale. Anna adorava
vivere in tutta quella immensa confusione, con parti della struttura che
venivano spesso smontate e rismontate prima di riuscire a capirci qualcosa, urla
terribili da squadra a squadra ognuna delle quali controllava l'altra in una
sorta di gara mai dichiarata ufficialmente, i pranzi a sacco consumati all'ombra
delle querce che circondavano l'immensa radura. Ogni tanto la bambina
accompagnava al cantiere anche i genitori che, all'inizio enormemente scettici,
piano piano si fecero quasi convincere sulla bontà dell'iniziativa. Era
insomma, in complessivo, un effetto trainante. Nessuno, eccettuati Anna ed
Ermete, in realtà credeva di fare una cosa minimamente sensata ma, poiché non
lo dimostrava ed anzi fingeva entusiasmo, non si udì mai, per tutta la durata
dei lavori la minima forma di critica ed anzi, persino dai Comuni vicini
piovevano ogni sorta di elogi e non era raro che professionisti abitanti in
altri paesi si recassero lì ansiosi di poter fornire utili consigli.
Ma già verso
la metà di giugno fu chiaro che non ce l'avrebbero fatta. Fino ad allora
avevano infatti realizzato in pratica soltanto una metà approssimativa della
struttura esterna che già si stendeva come ventre di balena di mari remoti
contro la rarefatta luminescenza delle lontane colline dei metalli.
Una sera fu
quindi organizzata un'importante riunione, si potevano portare anche i bambini,
per decidere il da farsi. C'erano soltanto due possibilità, o smetterla subito
oppure decidere di arrivare alla festa d'agosto con l'opera incompiuta. Il
dilemma fu posto così bruscamente che suscitò ogni sorta di mormorii nella
sala. Già, neanche Ermete se lo sarebbe mai immaginato fino in fondo, ma erano
diventati tutti compartecipi di quella follìa a tal punto che capì che non si
sarebbero arresi. Suvvìa, smettere proprio ora. Probabilmente alla copertura ce
la faremo ad arrivare. In fondo le strutture centrali le potremo terminare anche
durante l'inverno e così verrà pure un lavoro migliore, fatto con più calma.
Fu così che i
lavori continuarono, e non furono pochi quelli che rinunciarono ad una parte
delle ferie per venire al cantiere. Anna intanto aveva terminato la scuola ed
era stata promossa con ottimi voti. Lo zio trovava persino il tempo di portarla
qualche volta al mare e del resto lei stava benissimo anche nella radura dove
sarebbe sorta la festa poiché era diventato il luogo di ritrovo e di gioco di
tutti i bambini del paese ai quali era stato permesso di usare parti della
struttura per realizzare giochi di cunicoli, di labirinti e di ponti che, anche
se un po' confusionari, non erano venuti per niente male.
Ed arrivò così
anche il mese di agosto. L'immensa struttura era stata coperta e poiché negli
ultimi venti giorni erano riusciti a terminare anche la chiusura della parte
terminale, all'inizio si pensò pure che potesse servire a qualcosa. Al di fuori
di essa vennero allestiti i tradizionali spazi di ogni festa, mentre all'interno
si cercò di organizzare qualche dibattito o spettacolo. Ma fin dalle prime
esperienze fu subito chiaro che lo spazio a disposizione era talmente vasto da
annullare fisicamente qualsiasi iniziativa, e poi la voce rimbombava
tremendamente e il buio sembrava più buio anche della stessa notte. Pazienza,
per il primo anno ci resterà almeno l'orgoglio di avercela fatta a costruirla.
La festa
quindi si svolse in maniera del tutto normale ed anzi l'afflusso di visitatori
aumentò in maniera incredibile, in virtù del fatto che erano in molti a venire
solo per ammirare l'opera che, anche se illuminata in una maniera un po'
fatiscente, tutto sommato faceva una bella impressione.
Quando finì
la stagione dei brigidini ed Anna piangendo iniziò a tornare a scuola, tutti
erano così soddisfatti di ciò che erano riusciti a realizzare che fu deciso
unanimemente di prendersi una piccola pausa e di riprendere i lavori verso la
fine dell'inverno.
Tutto sarebbe
così andato per il meglio se non ci si fosse messo di mezzo il tempo. Già i
temporali di fine estate avevano creato qualche noia, ma l'autunno poi fu un
mezzo disastro. Fu necessario così creare una squadra fissa per le
manutenzioni. Solo che, col passare dei mesi, ci si accorse che il materiale
stava iniziando a scarseggiare. Non che non bastasse per le riparazioni, per
quelle ce n'era in abbondanza, ma si prefigurò ben presto la linea di tendenza
che avrebbe impedito il completamento di tutto l'insieme per mancanza di mezzi.
A fine
febbraio si poté già fare un inventario sommario le cui risultanze furono
spietatamente esposte da Ermete: o ce la teniamo così e riusciremo ad andare
avanti per chissà quanto oppure se proviamo a terminarla in breve ce la vedremo
crollare sulla testa.
In verità
all'inizio fu un brutto colpo per tutti anche se sembrarono accettarlo con
impensabile stoicismo che fu rappresentato tutto nel suo asciutto significato da
una frase pronunciata dal Sindaco in persona e poi assunta come una specie di
vangelo dall'intera cittadinanza: "In fondo, non è male neanche così".
Fu deciso
insomma che l'Opera era già stata realizzata pienamente e, poiché riuscirono
negli anni a mantenerla in maniera abbastanza decente, divenne una specie di
attrazione che faceva arrivare turisti da tutta la Maremma e poi, quando iniziò
l'era delle seicento multiple e delle ottocentocinquanta spider, anche da molto
più lontano.
Ermete non
riuscì a vederne la fine, sempre immaginata e certamente anche desiderata, e
neanche la stessa Anna allora ce la fece poiché se ne andò prima, anche se non
furono davvero pochi gli anni in cui poté per sempre ammirare dalla finestra
del condominio rosa quella specie di superbo monumento al genio ed insieme alla
follìa dello zio, sempre lì, in ogni stagione, e col passar del tempo persino
ridipinto, a rammentare al suo cuore ed ai distratti uccelli migratori che in
fondo ci vuol poco a far felici gli uomini.
Ermete poi,
negli anni successivi, proseguì la sua opera volta a scompaginare le anime e le
notti di ogni suo concittadino, anche se fu per sempre opinione comune che
l'apice insuperabile della sua battaglia lo raggiunse con la prima mossa,
geniale, ingombrante, per sempre colma di aggettivi di giubilo.
Una seconda
fase, che iniziò all'incirca quando Anna stava terminando le scuole medie
inferiori, fu volta a realizzare l'esatto contrario di ciò che era stato
all'origine dell'Opera, dimostrando così che l'animo degli uomini è instabile
e, per definizione, vago ed impreciso, sempre tutti pronti a mutar carattere ed
opinioni. A causa dell'evidente mole del lavoro da compiere però, fu un
progetto la cui realizzazione gli portò via qualche anno, non si poteva agire
all'improvviso, magari si sarebbero insospettiti.
Ermete calcolò,
in base ai risultati delle elezioni politiche, che il paese si sarebbe potuto
dividere sostanzialmente in due schieramenti. Uno avrebbe raggruppato gli
estremisti di sinistra, l'altro i moderati di tutti i partiti. Era in realtà
un'analisi del tutto fuorviante, che non teneva per niente conto dell'idilliaco
clima regnante in quegli anni in paese e che lo stesso Ermete aveva contribuito
a creare. Nella realtà infatti i due schieramenti che lui ipotizzava non
esistevano affatto, ma proprio qui stava il punto, bisognava crearli
Nell'autunno
del 1955 arrivò a Campiglia Marittima uno strano personaggio, estremamente
affascinante. Si trattava di un vescovo cattolico che, pur rimanendo cristiano,
si era distaccato dalla chiesa ufficiale per fondare una sua comunità personale
che si rifaceva interamente ai precetti dell'antica dottrina prima che gli
stessi fossero dogmatizzati e stravolti dalle autorità religiose.
Il vescovo si
chiamava Raffaele Zingoni, era naturalmente un amico di Ermete che lo aveva
incontrato quando viveva a Roma, ed era venuto sin lì sia per fare un piacere a
lui che per vedere se non si potesse sul serio creare un piccolo stuolo di
seguaci anche in Maremma. Fu così che Raffaele si mise subito al lavoro. Non
potendo la chiesa, per suo proprio statuto, togliergli né il titolo di vescovo
né il diritto di indossarne i simboli, iniziò col recarsi a messa ogni
domenica vestito del rosso abito canonico con relativo mantello. Arrivava
davanti alla chiesa accompagnato da Ermete che si faceva prestare la 850 grigia
da Mario e che restava lì fuori ad aspettarlo per tutta la durata della
funzione. Che spettacolo era vedere don Tinti che si chinava a baciargli
l'anello ogni volta che entrava, e le facce dei fedeli poi che, non sapendo più
se si trattasse di un vescovo vero o falso, erano completamente storditi e non
sapevano più come comportarsi.
Ed il compito
di Raffaele, nei piani di Ermete, era proprio quello di confondere, di
cominciare a rendere indecise le certezze di ognuno iniziando a seminare
scompiglio nei cuori e nelle menti. Vi riuscì perfettamente. Entro pochi mesi
parole come scisma, dogmi, cristianesimo arcaico, Riforma e molte altre, erano
entrate nel vocabolario comune di buona parte della cittadinanza e non era raro
assistere a concitate discussioni che avevano come oggetto l'interpretazione dei
testi sacri. Persino i bambini iniziarono a confondersi e quell'anno fu un vero
calvario per i professori di religione nelle scuole. Fu questa la prima
scintilla dell'odio.
L'altra parte del piano fu facilitata ad Ermete dagli andamenti
altalenanti delle elezioni di ogni ordine e grado che, da qualunque parte le si
guardasse, non davano mai la vittoria alle sinistre. Alimentare l'acredine in
quel settore fu quindi cosa abbastanza facile, bastava darne solo l'esempio e
certo lui non si sarebbe sottratto.
Ma per fortuna
di Anna questi grandi accadimenti si svolgevano lentamente, avevano bisogno di
tempo per essere compresi, e così la sua vita in realtà poteva fare benissimo
a meno anche di considerarli. Scorreva lento il tempo dei suoi tredici anni, dei
primi romanzi letti, dei seni che iniziavano a crescere, delle prime e vaghe
intuizioni che gli uomini servono per essere amati, quegli anni di strade
polverose e di film all'aperto proiettati da un camioncino e visti sempre
accanto a quello zio così facile per lei da capirsi poiché in fondo entrambi
erano piccoli, molto più piccoli di quanto chiunque avrebbe mai potuto
immaginare.
Una sera che
si stavano recando alla casa del popolo Ermete fece vedere ad Anna la pistola
che teneva dentro ad una fondina posta sotto l'ascella come nei film americani
che vedevano insieme e che amavano tanto. Lei gli disse subito che era pazzo,
lui non rispose, sapeva che Anna aveva ragione
ma del resto non poteva far altro, qualcosa doveva pur fare per
smuoverli. E poi l'idea di Ermete, all'inizio era soltanto quella di farla
vedere l'arma solo che una volta arrivati e raggiunto qualche bicchierino di
troppo non poté non cedere alla tentazione di estrarla e di mettersi a sparare
in aria al grido di perdìo glielo facciamo vedere noi cosa siamo capaci di
fare.
Il risultato
se non altro ci fu. Annichiliti dallo spavento i frequentatori del bar,
eccettuata Anna alla quale scappava quasi da ridere, non riuscirono a proferir
parola e furono invero enormemente sollevati quando videro profilarsi oltre le
vetrate le uniformi dei carabinieri. Il maresciallo, non appena entrò, era
talmente stupefatto che non pensò neppure di confiscare l'arma ad Ermete ma si
interessò subito della salute degli avventori e, constatato che in fondo non
era successo niente, tirò un respiro di sollievo, si sedette ad un tavolo, si
tolse il cappello, si asciugò il sudore freddo dalla fronte ed ordinò da bere.
Il suo commento, lapidario, fu: "Siete peggio dei ragazzi".
La sera della sparatoria divenne memorabile. Non fu
sottolineato mai il suo carattere artificiale, provocatorio e del tutto casuale,
ma l'accento venne messo esclusivamente sull'aspetto simbolico e sugli
insegnamenti che soprattutto ogni appartenente alla sinistra doveva trarre dalla
furibonda esplosione d'ira di un cittadino che così reagiva perché vedeva
calpestati ogni giorno i propri diritti civili e sociali da un sistema
prevaricatore e violento al quale, forse, bisognava rispondere nello stesso
modo. Non tutti i compagni furono convinti da questa interpretazione dei fatti,
ma del resto così doveva essere per fare in modo che sorgessero i primi
steccati, le prime linee di
divisione che avrebbero portato alla definitiva
consacrazione di quell'odio che così tanto Ermete cercava di
creare.
Naturalmente
tutta la storia non attaccò con gli adolescenti. Anna sapeva la verità e si
sforzò in ogni modo perché venisse conosciuta. E fu questa, in fondo, l'unica
possibilità che a tutti restava, lasciare impigliate tutte le manìe di
grandezza, le esultanze, gli accanimenti e i livori addosso a chi aveva più di
quattordici anni, sapendo così, con consolante certezza che, quando i ragazzi
fossero divenuti adulti, di questo tempo forse sciocco e forse bello non sarebbe
rimasto più niente.
Ciò che
accadde dopo, in un qualche modo l'epilogo, si svolse rispettando formalmente ma
non sostanzialmente la trama, a causa di un elemento particolare, notato
peraltro solo da Anna, e che consisteva nel fatto che Ermete stava dando lievi
segni di cedimento ed era sempre meno accondiscendente verso quella sua forma di
strana follìa, insomma, stava iniziando a stancarsi.
Eppure, questo
leggero senso di fatica quasi fisica non gli impedì di agire e l'occasione gli
venne offerta dai risultati delle elezioni che si svolsero nella primavera
successiva al quindicesimo compleanno di Anna. Per un caso fortuito o forse a
causa di calcoli artificiosi che vollero dimostrare ciò che nella sostanza non
era, il risultato di quella competizione fu favorevole alle sinistre. I
risultati scatenarono così una notte di festa e c'erano bandiere rosse esposte
nella metà esatta delle finestre del paese, i vecchi comunisti sorridevano
illudendosi, i bambini si aggiravano incuriositi in tutto quel frastuono
assordante di voci pregustando già la successiva giornata di festa dalla scuola
che i genitori avevano loro promesso a causa dei festeggiamenti che si sarebbero
protratti fino a notte inoltrata. Ermete era al centro dell'attenzione di tutti
i suoi seguaci e fu da dietro il bancone del bar che annunciò l'impresa.
Immediatamente tutti andarono a procurarsi megafoni e bandiere e saltarono sulle
loro automobili e camioncini. Fu così che intorno alla casa del parroco ci fu
per tutta la notte un furibondo scorrazzìo di auto che suonavano continuamente
il clacson e ci furono comizi improvvisati e grida di scherno e quant'altro in
verità sarebbe stato possibilie immaginare. Il prete non ebbe neanche il
coraggio di aprire la finestra.
Fu quello
l'apice della lotta. Da quel giorno in poi il paese si divise in due parti
nettamente distinte. Da una stavano gli estremisti, appoggiati da quella parte
di cattolici che avevano rinnegato l'insegnamento della chiesa ufficiale.
Dall'altra c'erano i moderati, anche di sinistra, che fecero fronte comune in
difesa dello stato di cose esistente e anche di quei poveri ministri di culto
così indegnamente attaccati.
Ancora una
volta così Ermete c'era riuscito, li aveva divisi, aveva dimostrato quanto
fossero esposti alle suggestioni, quanta poca differenza c'era in fondo tra
l'amare e l'odiare. A questo punto avrebbe potuto ritenersi del tutto
soddisfatto, ma non era così. I mesi della successiva estate lo videro infatti
pensieroso, distratto, si stava infatti chiedendo quale fosse il senso ultimo di
tutti i suoi sforzi, quale l'incredibile disegno della vita che nonostante tutto
lui non era riuscito a decifrare. Probabilmente avrebbe dovuto semplicemente
arrendersi, smetterla di cercare di creare artificiose unioni o divisioni o
quant'altro gli venisse in mente. E in verità
in un certo senso lo fece, solo che ancora una volta trascinò quei
poveri diavoli di compaesani incontro alla sua follia, che stavolta non era né
architettonica né politica, ma solo un miscuglio di frustrazioni nella ricerca
di un qualcosa per il quale valesse ancora la pena vivere.
Anna osservava
tutto questo arrabattarsi, tutti questi cambi di umore dello zio, con un
atteggiamento che era un misto di distacco, divertimento, compassione e
solidarietà. Come ogni sentimento importante quindi il suo non poteva dirsi
certo preciso e lineare ma, nella sostanza, l'adorazione che la bambina nutriva
per quello zio all'inizio fugace e poi enormemente invadente ed affettuoso fu
consacrata dalla ragazza che lo considerava il suo migliore amico.
L'ultima
avventura, alla quale non ci sarebbe stato seguito, iniziò a delineare i suoi
contorni fin dai primi mesi del 1959 ed esteriormente nacque quasi per caso, la
sua immagine grafica addirittura i film con James Dean, ma il cinema in fondo fu
un pretesto allora come sempre per impegnare la vita.
Ermete fece
dilagare in un battibaleno la sua passione per l'attore americano in tutti
quelli che erano pronti a recepirla. Non solo acquistò le pizze dei suoi tre
film più importanti e più volte li fece proiettare con al seguito
presentazioni e dibattiti con esperti, ma organizzò retrospettive di tutti i
suoi film minori, fece acquistare dalla biblioteca ogni libro che parlasse di
lui e addirittura una sua foto campeggiava dietro la sua scrivania di segretario
politico dopo aver fatto togliere quella di Stalin.
L'immagine che
Jimmy Dean diede al mondo della sua stessa vita fu quella di una ricerca
ossessiva e distruttiva di un qualcosa che forse lo aveva tormentato fin
dall'infanzia. Fu una ricerca che non ebbe esito a causa di quell'incrocio di
statale che andava verso ovest, ma probabilmente, anche con tutto il tempo del
mondo, non sarebbe riuscito lo stesso ad arrivare ad alcun risultato.
Quest'ansia del personaggio ed anche dell'uomo, unita alla fatalità che troncò
entrambi, erano cose che non potevano non colpire coloro che vivevano intorno ad
Ermete e pure altri, con l'esclusione anche questa volta di Anna che in verità,
anche se per l'età che aveva avrebbe dovuto in teoria subirne maggiormente
l'influenza, possedeva un carattere molto equilibrato che le faceva sì adorare
il mito di quell'uomo lontano morto così da poco al di là del mare, ma che per
niente al mondo glielo avrebbe fatto seguire come esperienza di vita.
Fu forse
quello però di tutti gli anni trascorsi a Campiglia Marittima, il tempo che la
colpì di più. Mentre in fin dei conti tutte le avventure dello zio si
risolvevano in un qualcosa che dava più forza per vivere, l'ultima, quella,
metteva in discussione l'esistenza stessa ed aveva in sé molti degli elementi
che si sarebbero ritrovati poi nella stessa vita di suo figlio che dello zio
lontano nel tempo e mai conosciuto ci parlò sempre con evidente ammirazione.
Strano destino davvero per Ermete, fare breccia nella parte più profonda del
cuore della persona che amava di più al mondo solo quando ormai il tempo stava
per terminare e non sarebbe stato più possibile continuare ad ordire trame,
perdersi nelle analisi delle sue vittorie, perché stavolta, e lui lo sapeva,
aveva già perso prima di cominciare.
Fu in autunno
che accadde, in un tempo ancora tiepido di amori estivi che lui da tempo non
conosceva più e mentre si stava terminando di dare l'ultima mano di vernice
giallo oro che non ci stava neanche male ai tubi che sorreggevano la parte
centrale di quell'opera da lui stesso voluta ma che aveva già dimenticato,
mentre intorno i contadini sistemavano le cipolle per l'inverno e a lui di
quell'isola di collina pietrosa persa in mezzo alla Maremma iniziava a non
importargli più niente.
Verrebbe da
dire che non si fanno gare automobilistiche a quasi sessant'anni, verrebbe quasi
spontaneo affermarlo, a meno che, a sessanta come a venti, per chi la compie una
tale gara sia una specie di ultima possibilità.
Ci volle tutta
la notte per ripescarlo su da quel burrone di sere che stavano iniziando a farsi
fredde e dal quale non c'era stata possibilità di fuga perché il vuoto era lì
e in fondo non è neanche poi tanto brutto pensò stupefatto dal suo stesso
ardire e per sempre ignaro dei giorni di festa e delle grida di esultanza che da
qualche parte prima o poi sarebbero pur arrivate fregandosene dei tuoi sogni e
dei tuoi amori finiti male a ridosso di mura in pietra dai muschi caldi e
oppressi da quella fretta atavica verso la quale il tempo ti spingeva anche se
poi tutto sarebbe finito, chi l'avrebbe mai detto, e se ne sarebbe andata per
sempre ogni delusione con le sue frasi fatte pronunciate in giacca e cravatta, i
suoi inni musicati che dicevano persino avrebbero cambiato il mondo mentre il
mondo si ostinava semplicemente a perdurare incurante di ogni nostro furibondo
proposito, interessandogli solo far felici i bambini con le ciliege di giugno
che si vedon da lontano quando non è ancora il momento e poi è semplicemente
troppo tardi come stasera su quest'automobile di seconda mano che mi ha gia
portato lontano, troppo lontano dall'unica esistenza che ho veramente amato e
che ha sempre abitato solo in un mondo di bambù sorreggenti, quella volta e per
sempre, zucche colorate la notte dell'ultimo giorno di carnevale.
Da quel
momento in poi, le cose in paese cambiarono e tentarono di ritornare
all'originaria normalità dimenticando gli eccessi e le forzature dell'ultima
decina di anni. Le elezioni seguenti Anna le osservò dalla casa sull'isola
intorno alla quale si estendeva il mormorìo dei metalli di antiche miniere.
Come al solito non cambiò poi molto ma, pensò, se ci fosse ancora lo zio forse
una scusa l'avrebbe pur trovata per andare la notte a svegliare il prete a suon
di clacson. Peccato che fosse stata incinta, sennò l'avrebbe fatto lei.