C'era solo il mare,
circondato dal deserto che fra i suoi misteri d'arena custodiva sia i ricordi
degli amori da oasi, falsi abbagli da pianura assolata anche se non di Toscana,
che gli scheletri di battaglie lontane ossa consunte dall'infinito lavorio dei
granelli di sabbia dove vivono gli scorpioni e persino i serpenti hanno caldo.
Per la verità il deserto
era soltanto immanente, come portato dall'aria su quella spiaggia di notte,
quando Nicola si mise a leggere i documenti di quella ragazza che aveva
arrestato. Straordinaria coincidenza, destino ingannevole, il cognome era
identico al suo e persino il luogo di nascita corrispondeva.
Se Nicola avesse avuto più
fantasia avrebbe pensato ad un caso fortuito, banale ed irrilevante coincidenza.
Invece la prima cosa che gli saltò alla mente fu che quella ragazza avrebbe
davvero potuto essere figlia sua. Certo, senza tutti i se che costellano le
esistenze mediterranee e forse d'ogni altra provincia.
Se fossimo stati in un
film muto anni trenta, tolto lo sfarfallio cromatico suscitato dalla sua camicia
bianca, si sarebbe visto prima il primo piano delle sue mani che impugnavano il
documento di Carla e poi un altro primo piano del suo volto con lo sguardo perso
lontano seguiti da una didascalia che pressappoco avrebbe recitato così:
"Anche i mercenari hanno un cuore". Sempre nel solito film sarebbero
però mancati, ma solo per esigenze di budget produttivo, i flashback
dell'infanzia o comunque di un tempo precedente che lo sguardo rivolto al niente
inesorabilmente prefigura o lo farebbe se ogni regista potesse spendere ciò che
vuole per girare un film.
Ma non siamo in un film e,
anche se per certi versi questo può senz'altro apparire un deficit, una
menomazione che inesorabile ci toglie il sapore acre del salmastro di una notte
davanti al Madagascar, per altri aspetti ci favorisce il compito, e non di poco.
La scrittura, o meglio, l'esposizione orale di una sera da bar, ci avvantaggia
in primo luogo perché non corriamo il rischio che i fondali siano dipinti e la
spiaggia quella di Ostia, ed in secondo luogo perché solo così possiamo almeno
tentare di ricostruire i suoi sentimenti attraverso i ricordi che quei pochi
secondi fecero nascere in lui.
Del resto c'è chi dirà, e
non a torto, che sarebbe bastato il suo sguardo. Rispondiamo che non c'è dubbio
che le cose stiano davvero così: tutto in un'espressione e niente nei fiumi di
parole che tentano di ricostruirla.
L'unica soluzione sarebbe
quindi quella di partire per le spiagge di Durban. Sicuramente da quelle parti
passerà un giorno un altro Nicola che abbia lo stesso sguardo.
Ineccepibile simmetria:
ogni racconto può essere ricostruito osservandolo, vivendolo, dal vero. Le
esistenze infatti sono
circolari e infinite volte si ripetono. Solo che ci vorrebbe una discreta
fortuna per essere sempre al posto giusto e nel momento giusto di ogni
reiterazione che ci interessi. C'è chi osserverà che basterebbe un Aleph, un
punto di luce dove convergono tutte le linee che compongono ogni accadimento del
mondo e, anche se trovarlo non appare cosa facilissima, la soluzione ci appare
meritoria di approfondimento. Oppure basterebbe essere immortali: non solo,
anche girovaghi e, vista l'innata pigrizia che ci contraddistingue, quest'ultimo
espediente appare più ingannevole.
Ma rimane un'ultima
possibilità, la più abbordabile, anche se spesso totalmente fuorviante: il
ricordo. Affidiamoci così a quello che narrò Nicola quella sera sotto le tende
dei campi di addestramento militare; a quello che scrisse ad Andrea,
naturalmente rivisto e corretto dalle attente penne stilografiche del direttore
del carcere; a quello che possiamo noi istintivamente dedurre basandoci sulla
conoscenza diretta dell'infanzia del personaggio, certo quella sola perché dopo
l'abbiamo perso, ma nessuno si preoccupi perché tanto si va sempre a finire lì,
ogni vita, anche la più abnorme e sregolata, ha sempre il ricordo di un albero
di fico con lo sfondo del mare, ed in fondo il bambino che vi salì contiene in
sé ogni elemento di qualsiasi futuro gli possa mai accadere di vivere.
Così, tanto l'espressione
di Nicola era distratta e forse insensibile quel giorno in cui salì sul fico
del signor Corsini, albero che lui appositamente aveva piantato per tentare di
far divertire i bambini, tanto il suo pensiero rivolto a Carla, a ciò che
avrebbe potuto essere e magari lo era stato senza che lui se ne fosse accorto,
durò appena il tempo di finire la sigaretta mentre lei veniva fatta salire
sulla camionetta e poi da lì in carcere e le lettere a Rio e Carlo che non la
dimenticò ma sono altre storie e così complesse che non basterebbe davvero un
romanzo intero per poterci almeno capire qualcosa.
La vita militare lo
affascinava. Già una frase come questa dipinge tutto intero un uomo e il resto
sono solo davvero illazioni da bar. Il perché così fosse non ci è dato di
saperlo poiché, per una volta, persino la foto di lui sul fico appare
misteriosa e indecifrabile. Che il bambino sarebbe arrivato sin lì e non certo
geograficamente nessuno se lo sarebbe proprio aspettato. Del resto questa non fu
l'ultima né l'unica novità che Nicola propose per la sua vita e noi non
possiamo fare altro che annotarla. Certo, magari con l'amaro in bocca, di
controvoglia, un altro destino ci sarebbe piaciuto di più, non certo che si
fosse sposato, per carità, e poi in carcere come avrebbe potuto, ma dopo
l'evasione saremmo stati più contenti di ritrovarlo magari gaucho in Brasile
che l'aria degli altipiani fa bene e soprattutto non c'è lo sferraglio delle
armi automatiche.
Ma dobbiamo arrenderci
davanti alla realtà. Fuggono fuggono fuggono tutti i bambini del mondo,
qualcuno parte per andarsene lontano e non tornare, altri si fermano a mezza
strada e non tornano solo perché hanno perso la memoria, altri ancora restano
per sempre, ma solo alcuni, pochissimi, ricordano quell'albero di fico ed ogni
estate vanno a dormirci sotto.
Così i ricordi di Nicola
erano pura retorica. Buona solo per divertire gli amici al bar oppure per
intrattenere le puttane facendo finta di essere un sentimentale. Niente passione
nella sua vita e davvero una strana sorte per uno che è nato a Rio.
Quando il mattino dopo si svegliò era stanco. Dimenticato per sempre
l'attimo che gli aveva fatto pensare a una figlia il suo pensiero era unicamente
rivolto alla colazione. Non che negli accampamenti dei mercenari le colazioni
fossero soddisfacenti, tutt'altro, solo che quel giorno era in permesso, avrebbe
potuto recarsi in città, e già pregustava il sapore delle paste alla panna di
quella pasticceria di Durban, certo lontana dal porto che i luoghi dei bigné
d'ogni colore non hanno mai solitamente niente a che vedere col mare,
indirettamente alle volte sì ma in fondo sono solo storie, eccezioni che
possono accadere soltanto sulle isole della costa tirrenica.
Nicola era stanco sia per
il turno di servizio che si era protratto ben oltre la mezzanotte che a causa di
un sentimento malevolo nei confronti del mondo nato in lui fin dalla sera
precedente. Che tale stato d'animo fosse derivato dal suo incontro con Carla,
dai pensieri rimorsi speranze sogni incertezze possibilità che la ragazza
avrebbe fatto nascere in lui è del resto fare troppo onore alle sue possibilità
di riflessione, del tutto inesistenti. Eppure, anche in chi non è capace di
riconoscerla, l'ansia dell'esistenza esiste ed a volte si fa pure sentire.
Certo, in questi casi, essa esprime le sue possibilità attraverso canali
laterali, apparentemente insensati, fu per questo che la panna dei bigné quella
mattina gli parve avere uno strano e non del tutto confacente sapore.