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A forza di parlare di persone nate qui sorge il dubbio che tutto il mondo sia dentro a quest'isola o magari, addirittura, solo all'interno del nostro bar. Se così fosse è innegabile che ogni vicenda umana sarebbe più complicata. Non esisterebbero più né fedi né religioni o cos'altro, ma solo un'eterna possibilità che abbraccerebbe il destino di ogni uomo. E questo non perché su un'isola del Mediterraneo si debba essere per forza atei o di carattere mutevole, solo che in fondo Rio è lo specchio di ogni altro luogo, il punto di convergenza dei destini e il posto della loro continua dissimmetria. E lo è nient'altro che per un motivo, per il fatto stesso che qui ci sia qualcuno che osserva e, di conseguenza, narri.

    Proprio oggi siamo venuti a conoscenza di un dato intollerabilmente insondabile. In migliaia di chilometri, l'estensione della rete viaria statunitense è 69. Quella dell'Impero Romano raggiunse i 78. Anche calcolando uguali in chilometri quadrati i due territori, ed il calcolo è per difetto rispetto a Roma, il dato resta impossibile da comprendere. Una civiltà industriale, perdipiù basata sul trasporto su gomma, è riuscita solo a sfiorare ciò che gli imperatori dell'Urbe realizzarono duemila anni prima: quesito certo singolare, degna di un applauso l'eventuale risposta.

    Sarà perché siamo testardi, ma abbiamo trascorso tutta la serata a discutere, finché il dilemma si è improvvisamente disciolto e la soluzione è apparsa più che evidente. Ma cominciamo dall'inizio della dimostrazione. Una rete stradale di 78.000 chilometri appare chiaro non sia costituita da un'unica strada ed altrettanto palese che sul suo percorso sussistano infiniti incroci. Immaginiamo adesso davanti ad ognuno di questi incroci un uomo che magari sia sempre lo stesso ma che ad ogni bivio successivo muti, anche se impercettibilmente. Visto che è evidente la differenza di aver incontrato, a seconda della strada scelta, un'orda gallica ribelle che lo uccida oppure una bionda ragazza che gli dia dei figli, alla fine del percorso, oppure a metà, o magari da un'altra parte, troveremo uomini del tutto diversi e questo solo per una banale scelta iniziale ma che attraverso le sue successive ramificazioni si è dimostrata assolutamente decisiva.

    Gli incroci così servivano a rendere ambigui i destini e, correlatamente, tutte le strade servivano a questo. L'antica Roma era quindi terra di poeti e giocatori d'azzardo e, anche se è innegabile l'esistenza di una possibilità ad un incrocio del Nevada o del Texas, le moderne società umane usano le strade solo per fini economici. Così Cesare fece partire le strade di Francia per essere sicuro, una volta che avesse voluto, di potersi smarrire in esse. E dire poi che ogni strada portava a Roma era solo un proverbio che voleva nascondere la verità, e cioè che tutte le strade della vita da Roma se ne andavano e che ognuno, partendo, avrebbe avuto infinite possibilità di scelta.

 

    

 

 Ma Nicola non fu mai attratto da queste possibilità. Sarebbe stato facile raggiungere Piombino e da lì l'Aurelia, ma lo fece soltanto per usarla come strada moderna, volutamente dimentico della carreggiata in pietra e dei pini che da sempre ne ornavano specialmente gli incroci, i pini all'ombra dei quali bastava sostare per incontrare un venditore di lenticchie di Ponza che ti avrebbe poi rubato il cavallo oppure la donna della tua vita che ti avrebbe impedito di continuare la strada e magari poi causato la tua morte per mano di sicario.

    Niente incroci quindi per Nicola, e finiamola una buona volta sia di ascoltare chi narri di averlo incontrato altrove che di dare credito a lettere strane provenienti dall'estero che chi si firma per lui è certo un impostore non avendo egli nella sua vita che scelto un solo bivio, quello che gli fece perdere Carlo e sua madre per conquistare Eve. E se poi abbia fatto un affare non siamo certo qui per discuterlo.

 

    

 

 Eva non lo tradì mai, questo è certo, e appare invero cosa alquanto strana. Forse sarà stato che stavolta l'aveva fatta così grossa da rimanerne scioccata. Presumiamo anche che Nicola fu contento di questo cambiamento nel suo carattere. 0 perlomeno speriamo ne sia stato contento perché al contrario si sarebbe trattato di atteggiamento assai difficile da comprendere.

Nicola ed Eva, non appena lui ebbe ottenuto il divorzio, si sposarono in Comune, naturalmente nel giorno di chiusura settimanale del bar. A poco a poco lui dimenticò la sua precedente vita e certo né Carlo né sua madre fecero niente per fargli ricordare qualcosa. Alle volte solo vagamente intuiva di aver avuto un figlio, sul dove poi se ne fosse andato non aveva la minima idea. Certo bastò Eve, la dolce biondina dalle minigonne mozzafiato e dai racconti di fate per farlo addormentare a riempire completamente la sua esistenza. Lei, dal canto suo, solo occasionalmente pensava al passato, magari alle bancarelle dei dolciumi nei giorni della fiera a Dresda, ma sostanzialmente era così innamorata di Nicola da essere completamente attratta da quel presente e dal futuro che esso, come accadde, avrebbe prefigurato.

    Come si vede, su Nicola ed Eve c'è ben poco da narrare. Forse perché li abbiamo così sempre vicini da farci apparire ovvio tutto ciò che fanno. Più probabilmente perché è congenita in ogni forma standard di felicità amorosa una certa dose di noia. Pensiamo così, tutti d'accordo naturalmente, che proseguire questa narrazione sia artificio vano e privo d'interesse. La simmetria, ogni perfezione, una volta scoperte sono l'apice di ogni ricerca. Finiamo così senza rimpianti di parlar di Nicola che un giorno sognò di diventar barista. L'evoluzione, o ciò che sarà della sua vita, la avremo tutti ogni giorno sotto gli occhi e così non c'è più bisogno di queste serate. Non poteva finir meglio, speriamo che siate contenti, e così almeno da domani potremo seguire con più attenzione il torneo di biliardo. Che la saracinesca cali, buonanotte a tutti e, anche se forse con qualche rimpianto, ogni cosa finisce qui.

 

 

 

 

P.S.

    L'ennesima curiosità, l'ultimo insignificante elemento, fu che ebbero un figlio e lo chiamarono Luca. C'è chi dice che il bambino avesse una voglia a forma di chicco di caffè sotto l'ascella destra e certo questo puo dar da pensare sul suo futuro. Non a noi comunque, ma casomai a quelli dei nostri figli che avranno voglia da grandi di ritrovarsi in un bar per parlare degli strani destini dei quali saranno sempre oggetto gli uomini e le donne che nascono a Rio.

 

 

 

 

F I N E